I rischi per la salute e sicurezza e i rischi della confusione dei termini
SMART WORKING EMERGENZIALE: TRA CONFUSIONI E CONTRADDIZIONI
La fase di emergenza determinata dal Covid-19 ha prodotto una esplosione del lavoro a distanza svolto essenzialmente da casa, ritenuto nei vari DPCM e atti del Governo fin dall’inizio della pandemia “da favorire in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione”. Il 6 aprile 2021, nel Protocollo di aggiornamento al precedente Protocollo anti contagio del 24 aprile 2020, il concetto è stato ribadito. La tecnologia digitale delle comunicazioni, ormai disponibile in modo diffuso, fin dal primo lockdown ha prodotto, quindi, quello che alcuni definiscono “smart working emergenziale”, aumentando esponenzialmente la quota ancora esigua delle aziende che, agli inizi del 2020, cominciavano a praticare forme di lavoro a distanza e coinvolgendo anche tutta la pubblica amministrazione, nella quale ancora oggi è ritenuta la “modalità ordinaria” di lavoro.
In tempi normali non avremmo avuto, così rapidamente, circa il 15% di persone che lavorano da remoto. Questa brusca accelerazione, dettata dall’urgenza di introdurre il distanziamento sociale, ha prodotto qualche confusione e, spesso, diverse contraddizioni.
COS’È SMART WORKING E COSA NO
L’anglicismo smart working, infatti, viene utilizzato frequentemente per definire qualunque tipo di prestazione di lavoro che non si svolga nella sede dell’azienda, e quindi a distanza, ma è un errore che va evitato. Provando a fare un po’ di chiarezza, il concetto di lavoro a distanza (o da remoto) include:
- Il lavoro agile, regolato dalla legge 81/2017- al Capo II, dagli artt.18-24.
- Il telelavoro, che ha come riferimento l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, oltre che, per la salute e sicurezza sul lavoro, dal comma 10 dell’art. 3 del D.lgs 81/2008;
- Il lavoro tramite piattaforme digitali, regolato dal D.lgs 81/2015 – come modificato dal D.L., 101/2019, convertito con modificazioni in Legge 128/2019 – che prevede norme specifiche a tutela del lavoro svolto mediante piattaforme digitali e, in particolare, dell’attività lavorativa dei ciclo fattorini (c.d. riders).
Quindi il lavoro agile (smart working) è solo una delle modalità possibili del lavoro a distanza.
Tralasciando ai fini del nostro ragionamento il lavoro tramite piattaforme digitali, concentriamoci sul lavoro agile e sul telelavoro per provare a ricondurre le cose nel giusto alveo, perché quello che ha prodotto lo smart working “emergenziale” appare più come un telelavoro da casa che come il lavoro agile con le finalità del comma 1 dell’art.18 della legge 81/2017, ove si legge:
“Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.”
Una finalità ben diversa, quindi, da quella dell’emergenza che impone il lavoro a distanza/da remoto come misura di distanziamento sociale e che, per come si è sviluppato nella stragrande maggioranza dei casi, è una sorta di telelavoro a domicilio e non un lavoro agile.
TELELAVORO, LAVORO AGILE E PREVENZIONE PER LA S.S.L.
Questa sorta di ibrido nei fatti si è dimostrato certamente utilissimo per abbattere il rischio assembramenti ma con ricadute tutte da verificare per la salute e sicurezza dei lavoratori. Soprattutto per la mancanza di postazioni a norma nelle abitazioni. Ciò comporta l’insorgere molto probabile di disturbi muscolo scheletrici e visivi, ma anche di rischi trasversali che vanno tenuti assolutamente in debito conto, come certamente lo stress da lavoro correlato, con difficoltà di concentrazione, nervosismo, senso di isolamento e/o di alienazione e tutto quanto possa essere collegato a questo prolungato sconvolgimento della vita sociale degli individui. Sono tutti rischi che vanno indagati e prevenuti, atteso che ormai è passato oltre un anno dall’inizio dell’emergenza e che questa modalità non sparirà completamente quando si tornerà a poter circolare liberamente.
Il telelavoro è inteso come lavoro che si svolge in un luogo fisico diverso dalla sede dell’azienda, a questa collegato informaticamente, nel quale il lavoratore che effettua la prestazione sia presente e reperibile durante il suo orario di lavoro. Nella maggior parte dei casi si tratta del domicilio del lavoratore dove, a cura del datore di lavoro, si allestisce una vera e propria postazione lavorativa dotata di telefono, computer e connessione di rete (conforme alle norme sulla ergonomicità e ai requisiti richiesti dalla normativa). Il datore di lavoro può eseguire ispezioni, che possono essere richieste anche dallo stesso lavoratore per assicurarsi della regolarità nello svolgimento del lavoro, delle condizioni di sicurezza per il dipendente (che sono preciso obbligo del datore di lavoro, n.d.r.) e per le apparecchiature tecnologiche utilizzate, il tutto all’interno dell’orario di lavoro previsto.
Nella realtà sembra essere, invece, in presenza di una diffusissima pratica di telelavoro definito lavoro agile che, ripetiamo, non può essere lavoro rigido (postazione e orario di lavoro imposti dal datore di lavoro) senza le tutele di prevenzione tipiche del telelavoro, ma con quelle ideate per un’altra tipologia diversa o, magari, senza neanche quelle previste dall’art. 22 della legge 81/2017:
“ Sicurezza sul lavoro
1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.”
L’Inail, in funzione dell’affermarsi della modalità del lavoro agile, aveva predisposto un fac-simile dell’informativa scritta di cui sopra al comma 1, che è reperibile e scaricabile nel link che segue ma che alleghiamo a questo articolo per maggiore comodità. (https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/avvisi-e-scadenze/avviso-coronavirus-informativa.html)
Certamente l’articolo 22 appena commentato è basato su una ratio di fiducia e di condivisione di responsabilità e di impegni tra datore di lavoro e smart worker che, nella oggettiva difficoltà di controllo e verifica da parte del datore di lavoro, necessiterebbe certamente di un supplemento di formazione per diventare una sorta di “preposto di se stesso”. Forse la sola fornitura di un’informativa, seppur esaustiva, non è sufficiente.